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Il 28% degli italiani sono analfabeti funzionali. Quale la loro correlazione con i social? La manipolazione dell’informazione

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Gli analfabeti funzionali sono capaci di leggere e scrivere, ma hanno difficoltà a comprendere testi semplici, sono privi di analisi critica.

Nessuna nazione in Europa ne conta così tanti come in Italia.

 

Qual’è il loro rapporto con i social media? Distinguono le fake news?

Secondo i dati emersi dalla ricerca eseguita da Ocse-Piaac del 2016, mostrano come l’analfabetismo funzionale riguardi il 27,9% degli italiani tra i 16 e i 65 anni, ossia è “low skilled” più di un italiano su quattro. L’Italia ricopre una tra le posizioni peggiori nell’indagine Piaac, ultima in Europa per livello di competenze (preceduta solo dalla Turchia) e addirittura quartultima tra ai 33 paesi analizzati dall’Ocse.

Trattasi è vero di un’indagine e pertanto i dati non rappresentano una realtà assoluta, ma certamente sono un dato significativo del nostro livello, o meglio deficit culturale. Quali paesi sono risultati i migliori? Sostanzialmente quelli del nord Europa. La più virtuosa è la Finlandia (11 per cento), seguita a ruota da Norvegia e Paesi Bassi (12 per cento) e Svezia (13 per cento).

Chi sono gli analfabeti funzionali. Il ruolo passivo

Gli analfabeti funzionali sono persone che sanno perfettamente leggere e scrivere, ma che non riescono a sviluppare un pensiero critico e hanno difficoltà a comprendere testi semplici. Come le istruzioni di montaggio di un attrezzo acquistato o districarsi in una cartina e stabilire il percorso idoneo.

In Italia, i profili degli analfabeti funzionali corrispondono per lo più agli over 55 e ai giovani che hanno smesso di studiare o non cercano più un lavoro.

Da contraltare degli over 50 sono i ‘Neet’ (giovani tra i 16 e i 24 anni che non stanno né lavorando, né studiando); chi appartiene a questa categoria ha una probabilità 5 volte maggiore di avere bassi livelli di competenza.

Alcuni individui, possono subire un fenomeno di retrocessione denominato ‘analfabetismo funzionale di ritorno’. Il fenomeno può interessare anche i laureati, che a distanza di qualche anno dalla laurea, dopo aver abbandonato sia la lettura che la creatività esercitate in precedenza, non sollecitando tutte le attività acquisite in precedenza incluso lo sviluppo di un pensiero critico generale.

Le nostre competenze, quindi, non sono mai statiche: nell’arco della nostra vita vi può essere lo sviluppo ma anche la loro perdita.

Tra i punti deboli del nostro Paese, si registra purtroppo ancora un significativo abbandono scolastico precoce e, più in generale, la disaffezione alla cultura, che caratterizza tutta la popolazione con bassissime percentuali di persone che leggono libri e giornali.

Analfabetismo funzionale, social media e fake news

Gli analfabeti funzionali non sono in grado di comprendere informazioni, post e articoli condivisi sui social network. Sono così terreno fertile per la proliferazione incontrollata di fake news, condivise migliaia di volte in maniera acritica.

Il rapporto tra analfabetismo funzionale e social network è evidente. Tutti attingono le informazioni dallo smartphone e tutti hanno lo stesso spazio per potersi esprimere in rete.

Non leggendo i giornali ed utilizzando il prezioso ed inseparabile smartphone per ogni minima necessità, ecco che le fonti delle notizie non sono più verificate e difficilmente verificabili.

Non investendo tempo nella ricerca della fonte, è difficile risalire alla loro veridicità. Talvolta è anche la pigrizia che porta a non approfondire, a non ricercare sempre e comunque la verità, fermandoci all’apparenza delle cose, rimaniamo imprigionati in una gabbia che ci costringe ad un ruolo passivo. Incoscientemente veniamo illusi da coloro che stanno modificando le cose e sono padroni delle nostre scelte. Insomma un deficit culturale che porta facilmente ad una manipolazione dell’informazione attraverso fake news o informazioni attentamente confezionate per influire sul sentiment dei destinatari. Strategie di comunicazione ben studiate per ottenere gli effetti desiderati sulla popolazione.

Un ruolo amplificatore di questo effetto sono anche i motori di ricerca, che ci offrono repliche degli argomenti che abbiamo letto nelle nostre delle nostre precedenti ricerche, aumentando le nostre convinzioni preconcette, dato che non abbiamo un contraddittorio.

Lettura superficiale e nessun approfondimento o verifica di una notizia: l’emotività prevale sui fatti. L’effetto Facebook e WhatsApp

Con una lettura superficiale dell’informazione, risulta facile surfare su quanto circola in rete e sui titoli provocatori di alcuni giornali.

Il post e la fake news sovrasta per visibilità la notizia. E’ più sensazionale. E’ anche una scorciatoia veloce e facile per conquistare l’opinione delle persone. La notizia viene letta attraverso l’emozione di una battuta o di un video commentato, suscettibile di irritazione e di facile consenso verso l’obiettivo desiderato.

Stiamo assistendo ad un buzz mediatico dove l’individuo risulta sopraesposto ad una massa di informazioni, molte appositamente create ad effetto ‘usa e getta’.

In particolare l’utilizzo dei video su WhatsApp influenza fin da subito il destinatario, dato che viene ricevuto da amici o conoscenti. Con queste tecniche si possono facilmente insabbiare notizie importanti e dare risalto ad altre secondarie o tendenziose, deviando l’attenzione su cosa più si desidera.

Le strategie di comunicazione dedicate ‘al deficit culturale nel Paese’

In un contesto dove l’analisi critica è così scarsa, a vincere è la manipolazione della realtà.

Queste strategie di comunicazione sono già state adottate (con successo) in diversi Paesi da imprese, partiti e correnti di pensiero che hanno sfruttato in modo semplice, immediato e permeabile parte del sentiment sociale e politico del momento, di buona parte della popolazione. Campagne social con budget piccoli ma straordinariamente efficaci. Cavalcando (purtroppo) anche l’onda degli haters presenti nella rete.

Per concludere una citazione di Umberto Eco alla consegna della laurea honoris causa nel 2015 a Torino, circa i sociale e il deficit culturale: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel”.

 

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